Don’t look up — recensione sincera.

Artlandis
4 min readDec 27, 2021

“Guardalo, è da vedere” (cit. utenti random su Facebook)

Continuo a scrivere qui su Medium di cinema.
Cioè dovrei chiamare questa rubrica: “opinioni non richieste cosa vedere o non vedere mentre spaccio gusti personali elevandoli arbitrariamente a critica cinematografica come tre quarti dei vlogger su youtube”.
Poi riporto tutto sul blog trans-mediale #PlasticTheory, in arrivo.

Si. Alla fine l’ho visto. “Dont’ Look Up”. L’avevo messo in lista, incoraggiato dal trailer. Minkia che cast.

Non guardare in alto.
Trailer carino. Cast spettacolo, ironia e qualche risata a vedere Katniss Everdeen che sclera male. Di Caprio con un Barbapapà al collo e speri che l’accoppiata con Jonah hill replichi l’alchimia della Stratton Oakmont di Wall Street.

Invece ti tocca un minestrone che se non era per tutti i volti noti non si sarebbe inc***** nessuno. Anzi sarebbe finito dritto tra i titoli che forse metti in lista e comunque non vedrai mai davvero. Insieme con il reboot del Dogma 95 a cura del consulente eschimese del regista del primo film di “Dungeons & Dragons”, per capirci.

Andiamo con ordine.

Questa la storia: arriva una cometa apocalittica. Se ne accorgono in due, anzi tre. Nessuno li prende sul serio. Ma proprio nessuno. Poi invece si. Ma la cometa arriva comunque perché siamo sempre gli stessi.
Ah già. Sopravvivono alcuni ricchissimi che 22.000 e spicci anni dopo finiscono in un pianeta lontano lontano, tutti nudi (e non è un bel vedere) per essere divorati dal figlio segreto di Woody Woodpecker e uno Xenomorfo.

Dunque.

Personalmente: adoro le rappresentazioni corali tanto quanto amo i titoli surreali e/o satirici, purché di senso compiuto.
Il regista del film, Adam McKay, poteva essere l’uomo giusto (suoi Anchorman 1 e 2 con Will Ferrell e mezzo Frat Pack, e “La grande scommessa” ).

Don’t look up si ispira al genere e segue la logica della critica ad un contesto. In questo caso: critica alla società contemporanea, alla cecità dell’uomo medio ipnotizzato dai media, a loro volta ipnotizzati dall’audience e dai soliti cliché. E finisce tutto in vacca perché non riusciamo ad andare oltre noi stessi.
Avanguardia pura, insomma.

Si, in alcuni momenti la cosa sembra aver senso.
Ma la sensazione dura 5 minuti e si galleggia tra dialoghi isterici, momenti di “tenerezza” random, ripensamenti familiari e personaggi che, come direbbe un noto clown, galleggiano tutti.
Spoiler: no, non è una tecnica narrativa.
Prova del 9 più ovvia: se non c’erano quegli attori lì nessuno avrebbe visto il film che sembra la versione mockbuster di sé stesso, soprattutto non richiesta.

Nessuno provi a dire che è una critica sociale.
Che ricorda la pandemia e i soliti noti che “non guardano in alto” il dato di fatto per paura di affrontare la paura.

Nessuno si azzardi a definirlo un film surreale, divertente o significativo nella sua satira sociale.
Non è Brian di Nazareth, Non è Idiocracy (il migliore sul genere di questo film) e nemmeno l’Alba dei Morti Viventi del grande Romero (se ti sfugge la presenza di questo titolo in lista non ti parlo più).
Persino This is the end e Sausage Party — Vita segreta di una salsiccia hanno più senso di sto polpettone insipido.

Questi 138 minuti sono un’accozzaglia il cui unico valore consiste in 3 scene apocalittiche. Lo dico solo perché poi potrò inserirle nella mia lista youtube a tema “cosmico”.

Però, ehi, tutti i gusti sono gusti ed è possibile che la colpa del furto del mio tempo non sia del regista che voleva solo realizzare un film leggero, ma dei vezzi di tanti pezzi da novanta a disposizione.

Sia quel che sia: un sentito grazie per la scena post-credit.
Ci voleva proprio. Simpatica tanto quanto vincere la lotteria delle mozzarelle il giorno in cui scopri che sei allergico al lattosio.

Ah. Il giudizio finale. Si usa così, no?
Sulla scala frau-blucher il film guadagna 2 puzze e mezzo.

A quando il sequel…?

Jeeeesus.

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Artlandis

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